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Quale olio utilizzare per friggere? La guida definitiva

Friggere un cibo provoca sempre allarmismi, sia sulla modalità che sull’impiego del grasso fondamentale. Qual è e come scegliere l’olio per friggere? Come per moltissime altre cose in cucina, la risposta è: dipende. Vi anticipiamo già che non esiste una risposta univoca a questa domanda; di conseguenza, ci proponiamo di fornirvi la guida definitiva agli oli per frittura. Mettetevi l’anima in pace: per friggere bene bisogna spendere un po’ e conoscere la materia. Non vi basterà selezionare il miglior olio extravergine d’oliva in circolazione (che spesso viene considerata un’ottima soluzione… ma poi vedremo perché non è così, ma niente spoiler per il momento!).

Di seguito, vi riportiamo le principali conoscenze che Virgilio Brunetti, esperto di scienze biologiche nonché storico autore del BBQ4All Magazine, ci ha fornito nel corso degli anni. Siete pronti a scoprire tutto su come scegliere l’olio per friggere? Mettetevi comodi, prendete appunti: sarete i migliori friggitori della vostra zona.

Prima di tutto, dobbiamo conoscere gli oli e i lipidi: differenze e analogie

Bisogna innanzitutto stabilire le differenze tra i vari attori principali della frittura: questa avviene attraverso i grassi, gli oli e i lipidi. Sono tre cose sostanzialmente differenti, ci impegniamo a spiegarvi i perché.

Un olio, da un punto di vista squisitamente gastronomico (che è il nostro punto di vista) è una sostanza che si presenta liquida a temperatura ambiente, immiscibile con l’acqua, con bassa densità e viscosa. Differisce dal grasso perché quest’ultimi si presenta in stato solido o semisolido a temperatura e pressione ambiente.

Ma l’olio può essere considerato un lipide?

Se grasso è considerato sinonimo di lipide, si può dire lo stesso dell’olio? Esso non è anche un lipide? Dobbiamo inquadrare la faccenda da un punto di vista chimico. Il professore e divulgatore Dario Bressanini ci spiega infatti che nel linguaggio parlato distinguiamo spesso i grassi dagli oli. Ad esempio, convenzionalmente, lo strutto è considerato un grasso; mentre l’olio d’oliva no. La cosa dal punto di vista chimico ci dirà che non c’è differenza. Semplicemente chiamiamo oli quei grassi che sono liquidi a temperatura ambiente. Ma la temperatura ambiente è un concetto abbastanza relativo, dipende da dove si è. Ai tropici fa molto più caldo che a Trento e un grasso liquido in Africa Sub-Sahariana può essere allo stato semi-solido da noi.

Cos’è un grasso? La spiegazione in ambito gastronomico

Per quanto riguarda i grassi per friggere, possiamo prendere in esame due grandi categorie di prodotto. Parliamo dei grassi di origine animale e quelli di origine vegetale. Indifferentemente, si può assumere olio di pesce, olio extravergine d’oliva o una fettina sottilissima di lardo di Colonnata: il valore calorico sarà sempre di 1 grammo di grasso / 9,46 kcal

L’importanza dei trigliceridi nella frittura

Poiché le caratteristiche fisico-chimiche dell’olio da frittura sono strettamente correlate alla struttura molecolare della sostanza, i lipidi utilizzati in cucina sono per la maggior parte gliceridi. Di questi gliceridi, moltissimi sono trigliceridi, quelli che insomma fanno spauracchio nelle diete di qualcuno. La presenza abbondante o menodi alcuni acidi grassi rispetto ad altri personalizza a livello aromatico e gustativo lo specifico olio, mentre il loro livello di insaturazione determina i comportamenti degli oli in condizioni di stress termico e ne determina inoltre lo stato solio, semisolido o liquido a temperatura standard.

Il punto di fumo: cos’è e perché è importante in un olio per frittura

Veniamo dunque al famigerato punto di fumo: se ne è parlato moltissimo in questi anni, spesso con margini di errore piuttosto elevati. Cercheremo, quindi, di far chiarezza.

Spieghiamo brevemente il punto di fumo dell’olio e perché non è sempre uguale

Il punto di fumo è un parametro essenziale: è la temperatura a cui un grasso alimentare riscaldato comincia a rilasciare sostanze volatili che divengono visibili sotto forma di fumo, con la formazione di molecole tossiche. In giro per il web, esistono ennemila tabelle che indicano i punti di fumo dei singoli oli e grassi: queste tabelle, spesso riportano informazioni parziali e potenzialmente errate. Vediamo il perché, con un esempio pratico che riguarda l’olio extravergine d’oliva. Esso è considerato da tutti perfetto per friggere in quanto a stabilità, punto di fumo, qualità organolettiche e salutistiche. Tutto giusto? Forse. Non sempre, perlomeno.

Andiamo a vedere perché il punto di fumo non è sempre univoco!

Sappiamo benissimo che l’olio extravergine d’oliva non è tutto uguale e proprio nel contesto della frittura è particolarmente importante capire il ruolo dell’olio: esso è semplicemente un grasso che funge da mezzo per trasferire calore ad un alimento in condizioni di temperatura piuttosto elevate. E questa è una verità inconfutabile, che non cambia né cambierà. Ma c’è dell’altro.

Nell’olio, oltre al grasso c’è di più

Tutto ciò che nell’elemento usato per friggere (nel caso-esempio, l’olio extravergine d’oliva) non è grasso è inutile ai fini della pratica. Parliamo nella fattispecie di: polifenoli, antiossidanti, vitamine, oli essenziali, cere, steroli e molto altro. Questi elementi non hanno rilevanza nelle performance di cottura, anzi. L’abbondanza di alcune di queste molecole considerate nutraceutiche e caratterizzanti in alcuni extravergine di alta qualità abbassano di fatto il punto di fumo, che mediamente si aggira tra i 160°C e i 200°C. Un range troppo ampio per dire che l’olio extravergine d’oliva è il migliore per friggere.

Com’è fatto un olio, visto da vicino

Visto che abbiamo tirato in ballo l’acidità, è il momento di vedere com’è fatto un olio da vicino, in particolare la sua acidità. Per capire di cosa si tratta, dobbiamo comprendere la struttura di un trigliceride.

Focus: com’è fatto un trigliceride

Esso è composto da tre acidi grassi uniti da una molecola di glicerolo mediante (legame estereo). A livello sintetico si tratta di una reazione di esterificazione tra un alcol, il glicerolo, e gli acidi grassi; la reazione inversa si chiama saponificazione. I grassi nelle piante vengono prodotti tramite una reazione enzimatica, chiamata biosintesi. Essi si accumulano principalmente nel pericarpo delle drupe (ad esempio, le olive) oppure nell’endocarpo dei semi. Questi ultimi vengono definiti oleosi proprio per l’abbondante quantità di grassi. Il legame che unisce il glicerolo ai tre acidi grassi non è molto forte, per questo motivo, di fronte a qualsiasi ambiente ossidante o aggressivo, esso si rompe liberando i tre acidi grassi e causando la degradazione dell’olio. L’acidità misura la quantità di acidi grassi liberi presenti nel prodotto, ed è uno degli indicatori generali per la determinazione della qualità degli extravergini: quando è minore, l’olio è migliore.

Notate bene: essa non è percepibile livello gustativo e non deve essere confusa con i difetti del prodotto finale, tipo il sentore di acetico o vinoso, di muffa, di salamoia, di rancido, di morchia, di riscaldato. Ai fini della frittura è particolarmente importante che l’olio sia integro a livello molecolare ovvero che i trigliceridi non siano interessati da fenomeni ossidativi e di irrancidimento.

Gli acidi grassi negli oli: cosa sono e cosa fanno?

I lipidi hanno diverse quantità di acidi grassi saturi, insaturi e monoinsaturi, di Omega 3-6-9, di acidi grassi trans; tutte queste caratteristiche chimiche sono correlate alla struttura degli acidi grassi. Tutti gli oli contengono sempre una miscela di saturi, di monoinsaturi e di polinsaturi.

Spiegheremo brevemente la geometria degli acidi grassi. Come ci insegna il professor Dario Bressanini, dovreste figurarvi l’acido grasso saturo come una catena lineare rigida a forma di bastoncello che può avere diverse lunghezze: mentre un monoinsaturo ha una singola piegatura, i polinsaturi invece ne hanno più di una. Questa caratteristica geometrica è alla base del fatto che se un grasso è liquido a temperatura ambiente allora ha una maggioranza di acidi grassi insaturi, (mono o poli). Quasi tutti i grassi vegetali (ma non proprio tutti) hanno questa caratteristica, mentre è più raro (ma ci sono) trovare dei grassi di origine animale con la medesima peculiarità, come per esempio l’olio di pesce o di crostacei. 

Se i lipidi alimentari hanno una prevalenza di acidi grassi saturi, allora sono solidi o semisolidi. Ciò significa che in gran parte i trigliceridi avranno attaccato dei bastoncini diritti i quali, come dei mattoncini del lego, si riescono a impilare più facilmente rispetto a quelli con una o più piegature. Questo è il motivo principale per cui i grassi saturi hanno un punto di fusione più alto: se non hanno piegature si impaccano molto meglio ed è più facile formare dei solidi. Grassi solidi sono per esempio il burro, il burro di cacao, l’olio di cocco e l’olio di palma, il sego, il lardo

La distribuzione degli acidi grassi definisce l’impiego dei lipidi

Dunque ora sappiamo che i lipidi alimentari differiscono principalmente per la distribuzione di acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi. Queste differenze li rendono idonei a specifiche applicazioni nel campo delle tecnologie alimentari, della cosmetica, della nutrizione e ovviamente della medicina.

Quale olio utilizzare per la frittura?

Una volta che abbiamo scardinato pezzo dopo pezzo com’è fatto un lipide, passiamo alla domanda fondamentale: quali caratteristiche deve avere un olio per essere performante durante la frittura e anche essere sicuro per la nostra salute?

Per quanto concerne la frittura sia livello casalingo, sia ristorativo che industriale, essa deve essere eseguita con oli di alta qualità in dispositivi idonei a controllare la temperatura, proprio perché quando il grasso comincia a sviluppare fumo, quest’ultimo può essere fonte di intossicazione acuta e cronica. Questo perché oltre alla famigerata acroleina può contenere idrocarburi policiclici aromatici, ammine eterocicliche, formaldeide, acetaldeide, acrilamide.  Le emissioni dal processo di frittura ad alta temperatura sono state classificate come “probabilmente cancerogene per l’uomo” (Gruppo 2a) dalla International Agency for Research on Cancer (IARC). Tra le altre cose sappiamo bene che anche gli oli esausti sono classificati come rifiuti speciali e devono essere smaltiti in maniera appropriata.

Una miscela di oli con additivi può essere una “buona” soluzione

Il punto di fumo è una caratteristica del grasso che non dipende dalla distribuzione di acidi grassi contenuti in esso ma è determinata dalla quantità di acidi grassi liberi, ovvero dall’acidità del prodotto. Questo spiega come oli ricchi di acidi polinsaturi ma con una concentrazione di acidi liberi molto bassa, nonostante siano più suscettibili all’ossidazione, possano avere punti di fumo più alti di quelli composti prevalentemente da acidi monoinsaturi. Inoltre una miscela idonea di oli vegetali arricchita con opportuni additivi alimentari può dare origine a prodotti particolarmente performanti in termini di resa, come ad esempio il Friol. Questo olio, che oltre ad essere arricchito con vitamina E (E306) presenta una percentuale di olio di silicone (E900).

Il punto di fumo di un olio è determinato dai seguenti fattori

  1. agenti antipolimerizzanti (antiossidanti attivi sopra i 130°C)
  2. La presenza di additivi alimentari noti in etichetta come E900 (agenti antipolimerizzanti)
  3. La presenza di acqua e altri micro componenti volatili
  4. Presenza di fosfolipidi (le famose lecitine);
  5. Eventuali residui di solventi di estrazione.

Molti oli posso essere raffinati con metodi chimici e fisici al fine di migliorarne le caratteristiche; i processi di raffinazione più comuni, consentiti anche su oli “bio”, sono la neutralizzazione (eliminazione degli acidi grassi liberi), la decolorazione, deodorizzazione e la winterizzazione (eliminazione delle cere). Un’altra modifica piuttosto famosa applicata agli oli vegetali a livello industriale è l’idrogenazione, ovvero la produzione di margarine, una categoria eterogenea di prodotti che in qualche modo riproduce le caratteristiche del burro. Proprio come quest’ultimo esse sono spesso emulsioni di grassi saturi con acqua ed emulsionanti, e non sono destinate alla frittura. Vi abbiamo dedicato un articolo apposito, che parla appunto delle differenze tra burro e margarina.

Come utilizzare l’olio e friggere in maniera ottimale

La frittura è un metodo di cottura rapido. Sappiamo bene che l’acqua portata ad ebollizione in condizioni standard bolle a 100°C. Non c’è verso di superare questo limite a meno che non si vadano a modificare parametri di pressione. I grassi invece hanno temperature di ebollizione molto alte, teniamo conto che il normale olio extravergine d’oliva ha una temperatura di ebollizione di 300°C. Quando friggiamo, ovviamente non abbiamo la necessità di portare ad ebollizione il nostro olio, ma ci dobbiamo attestare stabilmente ad una temperatura compresa tra dai 160°C ed i 200°C (condizione ideale per ottenere la reazione di Maillard in base alla tipologia di olio utilizzato) e dobbiamo mantenerci sempre sotto la temperatura del punto di fumo.

Il miglior olio per friggere in Italia? Qualche considerazione e consiglio

Volendo contestualizzare in Italia la scelta del miglior olio per friggere, mi sento di consigliarvi come prima scelta un olio vergine/extravergine d’oliva di cui dovete conoscere precisamente il livello di acidità, quindi con uno standard qualitativo elevato ma con un carattere molto soft, un fruttato leggero. La preferenza potrebbe ricadere su un olio ligure o su un Garda DOP; con caratteristiche simili ma ormai introvabile si potrebbe utilizzare un olio monocultivar di Cellina di Nardò.

Gli oli da semi: quali scegliere per friggere?

Per quanto riguarda gli oli di semi/frutti oleosi è preferibile scegliere quelli con un elevato contenuto di acidi grassi saturi o monoinsaturi estratti con metodi esclusivamente meccanici ed evitare oli estratti mediante l’uso di solventi, quindi il range ragionevolmente si restringe quello di arachide e a quello di girasole alto oleico. Proprio per quanto detto, anche i grassi di origine animale (il sego, il lardo e il burro chiarificato) pur avendo costi elevati hanno performance piuttosto interessanti.

Ecco le caratteristiche che un deve avere l’olio perfetto per friggere

Il nostro olio perfetto per friggere dovrà avere indiscutibilmente le seguenti caratteristiche:

  • Deve essere resistente alle alte temperature, quindi ricco di acidi grassi saturi o monoinsaturi (si preferisce generalmente utilizzare i grassi vegetali ricchi di monoinsaturi per questioni salutistiche).
  • L’olio deve essere bassa acidità, ovvero oli integri dal punto di vista della struttura dei trigliceridi e con bassa percentuale di acidi grassi liberi.
  • Deve essere un olio estratto mediante pressatura piuttosto che mediante estrazione con solventi (esano, ad esempio).

Friggere senza olio: è possibile? La frittura in glucosio anidro

Spesso si legge di fritture senza olio, fritture non fritture e di friggitrice ad aria (della quale vi abbiamo spiegato il funzionamento dettagliato in un articolo apposito): sono tutti metodi che “simulano” la frittura, ma non lo sono. L’unico modo scientifico per friggere senza grassi è la frittura in glucosio anidro, che utilizza un liquido altobollente (cioè che hanno un elevato punto di ebollizione). che non è assolutamente un grasso ma una tipologia di glucosio in polvere ad elevata purezza: il destrosio.

Conosciamo meglio la-frittura-non-frittura nel destrosio

La frittura non frittura nel destrosio è un metodo di cottura che permette di ottenere un risultato per ovvie ragioni non unto e privo di grassi. Il glucosio in polvere è un ingrediente naturale, facilmente reperibile nei negozi specializzati di pasticceria o nelle farmacie.

Come friggere col glucosio in polvere?

Il glucosio fonde senza acqua a una temperatura di 160°C e non caramellizza fino ai 190°C quindi, nel range di tempo che il destrosio impiega a passare da una temperatura all’altra si innescano le reazioni di Maillard, le nostre care reazioni chimiche che avvengono a seguito dell’interazione tra zuccheri e proteine e che conferiscono ai cibi la classica crosticina croccante e profumata. Se decidiamo di utilizzare il glucosio per friggere questo, durante il processo, forma una sorta di “pellicola” trasparente, attraverso la quale penetra solo il calore, permettendo al cibo di restare assolutamente asciutto, croccante all’esterno e morbidissimo all’interno. Si tratta di tipo di frittura sicuramente non convenzionale, ma che si adatta bene sia alla cucina che alla pasticceria.

[ Crediti | Foto da Adobe Stock]

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